Tokyonize: immagini e parole da un viaggio in salsa di soya
Tokyo è come il maiale. Non si butta via niente, e si consuma tutto. Fino in fondo. Perché le anime di Tokyo parlano a tutti. Senza eccezione. Per chi ha visto (e rivisto) Blade Runner. Per chi è cresciuto a latte e Jeeg Robot d’acciaio. Per chi è innamorato dei samurai, dei kimono e di Shōgun. Per chi è solito guardare con il naso all’insù (verso grattacieli senza fine) ma anche all’ingiù (su un piatto di ramen fumante). Tra pre-moderno e post-moderno, la dialettica del tempo trova proprio nella capitale nipponica la sua ragione d’essere. Senza schermi divisori, tutto si mischia. E così il rischio di perdersi, scivolando lentamente in questo gorgo multisensoriale, è sempre dietro l’angolo. In questa nostra piccola rubrica cercheremo diraccontare tutto questo, ricorrendo spesso ad immagini, non solo a parole. Sempre alla ricerca di piccole cose. Sorprendenti. 🔹 Logo © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it Tokyonize 3. Civiltà nipponica: piccole cose, grandi conseguenze. Esempi di civiltà
Scena 1. Alla fermata del metro arriva un ragazzo paraplegico. L’addetto alla sicurezza gli chiede quale percorso deve fare e chiama il collega alla fermata in cui il ragazzo deve cambiare linea spiegandogli la situazione, la carrozza del metro e la porta in cui il ragazzo salirà. Quando il ragazzo arriva alla suddetta stazione, il metro si ferma, le porte si aprono e il ragazzo sa che dietro di lui ci sarà un addetto alla sicurezza che lo accoglierà aiutandolo ad andare nella linea del metro successiva. Particolare: il ragazzo non ha neanche ha guardato se ci fosse o no l’addetto alla sicurezza alle sue spalle. Lo dava per scontato. Scena 2. Affollato bar a Roppongi Hills, quinto piano. E’ venerdì dopotutto anche a Tokyo. Ragazza un po’ brilla assieme alla sua amica si alza dal tavolo in cui era seduta. Barcolla un po’ e lascia il bar. Nonché il suo iPhone sul bancone in bella vista. Passano 30 minuti buoni. Altri due gruppi di persone si susseguono a quello che era il tavolo della ragazza. La ragazza ora rientra. Non sembra neanche troppo preoccupata. Ritorna al suo posto e il cellulare è là. Intoccato. Scena 3. Provate a prendere una metro a Tokyo tra le 12 e le 14. Se lo fate vi capiterà di trovare intorno a voi bambini di tutte le età, compreso quelli con la cartella più grande di loro. Da soli. Senza genitori ad accompagnarli. Senza paura o preoccupazione negli occhi. Solo con un sorriso e la testa perennemente china sul manga di turno. Ecco. Piccole cose che rendono Tokyo quello che è. E che fanno ad esempio dei bagni della metropolitana della città, frequentati ogni giorno da 15 milioni di persone, degli specchi. Tokyo e il Giappone un paradiso, dunque? Non esattamente. Anzi. Ma sapere di poter contare sulle piccole cose è un lusso che sarebbe bello riuscissimo a riprenderci anche noi. Togliendolo dalla naftalina in cui lo abbiamo da tempo dimenticato… 🔹 Foto © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it Tokyonize 6: I WC del Giappone, fra tradizione e futuro
Andare in bagno non è mai stato così difficile come lo è in Giappone. Scherziamo? Neanche un po’. Gli imbarazzi e gli stupori tra i gaijin (letteralmente “persona esterna (al Giappone)”, ovvero straniero, ma anche un po’ barbaro…) non mancano infatti mai di fronte ad un wc locale, per niente facile da comandare. Più che semplici tazze sono dei veri congegni ultra-tecnologici attrezzati con decine di pulsanti. I coperchi che si alzano magicamente da soli quando vi ci avvinate, i sedili piacevolmente riscaldati se fuori fa freddo, la musichetta che parte se è necessario schermare momenti più o meno delicati. Dei veri robot al vostro servizio. Ma funzionano correttamente solo se riuscite a decifrare le didascalie ivi riportate, rigorosamente tutte in lingua autoctona. E se non parlate giapponese? Allora non vi resta che provare a caso, premendo tasti sconosciuti ai vostri occhi con il rischio di farvi una vera e propria doccia visto che funzionano anche come bidet. Ma dopotutto, dove, se non in Giappone, potevano nascere invenzioni cosi sorprendenti? In una terra ricca di tecnologia ma anche di una lunga storia di tradizioni legate alla cura del proprio corpo: dall’amore per l’igiene (dimostrato dalla persistente popolarità degli onsen, secolari bagni pubblici alimentati dalle acque termali) fino alla intolleranza verso le imperfezioni (basti qui ricordare la moda tradizionale dell’ohaguro: ovvero il tingersi i denti con un perfetto nero per non rischiare che essi ingialliscano), ecco l’antica origine dell’impeccabile bagno giapponese. Che qua chiamano, tra l’altro, “bagno occidentale”. Paese che vai, detti che trovi… 🔹 Testo di Luigi Curini + Maria Novozhilova 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it |
Tokyonize 1. Lassù, tra le nuvole, a mangiare gyoza con Celentano
La discussione sulla spesso cronica mancanza di spazi pubblici che attanaglierebbe le città italiane, specie quelle più grandi, continua da anni nel Bel Paese. A Tokyo, città di circa 14 milioni di persone residenti che più che raddoppiano se consideriamo i pendolari che di giorno e di notte si recano in città dalla Grande Area di Tokyo, il problema è stato risolto anche ricorrendo ai tetti dei grattacieli. Recuperando in questo modo un’area che generalmente viene trascurata nel disegno urbano, ma che è tutt’altro che marginale se consideriamo il numero di grattacieli presenti nel capoluogo nipponico. E così eccoci qua, dopo aver preso un ascensore fino all’ultimo piano dei grandi magazzini Isetan a Shinjuku-ku, ad ammirare un vero e proprio giardino a disposizione di tutti. Perché attenzione, è questo il punto importante: qua non stiamo parlando di un garden-roof di un albergo, di un ristorante, o di un bar. Quello che si apre ai nostri occhi è uno spazio completamente gratuito, in cui chiunque può entrare portandosi da casa (o dal baracchino di street-food che cucina gyoza, i ravioli giapponesi, 10 e più piani in basso) il cibo e ciò che vuole bere. Facendo un pic-nic nel cuore di Tokyo, nell’ora di pausa dal lavoro o con la propria famiglia. Con il naso all’insù. E magari, se è fortunato, gli capiterà di sentire in sottofondo Adriano Celentano cantare “Azzurro”. Come è successo a noi. Un po' di italianità a Tokyo. Pensando a come sarebbe bello anche nella nuova sky-line di Milano avere la stessa cosa. Non solo boschi verticali. Ma anche orizzontali. Ma in alto. Tra le nuvole... 🔹 Foto © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it Tokyonize 4. Le tre regole per mangiare il sushi (e per stupire i vostri amici)
Sapevate che mangiare il sushi con le bacchette è sbagliato (o per lo meno, non è quello che dovreste fare se voleste davvero impressionare i vostri conoscenti giapponesi)? Andando in un elegante ristorante giapponese frequentato da esperti di sushi, è infatti raro vedere le posate in azione. Allora come si mangia? Dimenticate le lezioni di galateo che la mamma vi ha insegnato con tanta fatica da bambini. Il modo tradizionale per “attaccare” le indefesse polpettine di riso è né più né meno che a mani nude. E non finisce qua. Siete abituati ad ammirare l’estetica del piatto prima di assaggiare? Un altro errore! Un vero amatore di sushi bada poco alle apparenze pur stravaganti del suo cibo. Il sushi sparisce nella sua bocca appena viene poggiato sul piatto dallo chef. È la freschezza ciò che conta. È lei l’ingrediente principale che non tollera né tempo né l’aria che minacciosa può seccare il vostro prelibato pesce. Manca qualcosa? Ah sì, la breve sosta nella soia. Ma attenzione! Pesce giù e riso in sù. E non all’incontrario, come siamo spesso abituati a fare noi. E pazienza se così facendo il pesce rischia di scivolarvi via…E ora che sappiamo tutto, basta chiamarli sushi che non è altro che un termine generico usato per una decina di piatti a base di riso! Nigirizushi è il piatto che tutti abbiamo in mente. Itadakimasu (o Buon Appettito)! 🔹 Foto © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini + Maria Novozhilova 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it Tokyonize 7: Un Mondo al contrario
Se siete un uomo e se un giorno vi capiterà di firmare un contratto di lavoro in Giappone, cosa che di questi tempi augureremmo a chiunque, sappiate che nel documento in questione troverete la possibilità di indicare due conti bancari, e non uno solo come succede dalle nostre parti, in cui trasferire il vostro stipendio. Il vostro capo, per l’occasione, vi farà un simpatico occhialino di fronte al vostro stupore e vi spiegherà che il primo di questi conti è quello ufficiale, ovvero l’unico di cui sarà a conoscenza vostra moglie, il secondo è quello segreto, cui attingere per le uscite con gli amici, le ubriacature e le altre attività non necessariamente approvate dalla vostra dolce metà. Questo accade perché in Giappone, e a Tokyo soprattutto, molte cose funzionano “all’incontrario”, tra cui anche il budget familiare che tradizionalmente viene gestito (interamente) dalla donna di casa. E’ lei infatti a gestire i cordoni della borsa come una novella Mario Monti e a decidere se il marito ha meritato i 500 yen per il pranzo e se comprargli (o meno) un iPhone (usato ovviamente) per Capodanno. Perché il denaro è una cosa “sporca” e non degna dell’attenzione dei veri samurai. Ma le cose sottosopra rispetto alla nostra cultura non si limitano solo al rapporto con i soldi. Qui le pompe di benzina pendono dall’alto, il bianco è il colore del lutto, le code sono (ancora) da rispettare e la cultura autoctona (ancora) da conservare. Un mondo capovolto forse. O forse ad essere capovolti siamo oramai noi? 🔹 Foto © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini + Maria Novozhilova 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it |
Tokyonize 2. Cinque Kanji per sopravvivere a Tokyo (almeno in un ristorante)
Tokyo è ufficialmente la più grande metropoli del mondo. Piena di grattacieli, di tecnologie e mode che arriveranno dalle nostre parti solo tra un po', e di persone da ogni parte del globo. Tuttavia, se finite (di vostra volontà, o perché vi ci hanno portato) in uno di quei piccoli ma assolutamente imperdibili ristoranti nipponici al 101%, molto probabilmente vi ritroverete ad avere più di un problema ad ordinare qualche cosa. Spesso i menu sono scritti in giapponese, sprovvisti di quelle provvidenziali figure dei piatti che ogni tanto vi offrono una comoda via di fuga (basta solo indicarli e con le dita minare il numero di ordinazioni), e con un cameriere che non parla inglese (o anche se dice di parlarlo, è come se non lo facesse). Che fare? Nessun panico! Tokyonize è venuto a salvarvi! Bastano pochi kanji, cinque per l'esattezza, per sbarcare quasi sempre bene il lunario. Eccoli in successione: 魚 (pesce), 肉 (carne), 豚 (maiale), 串 (spiedino: i famosi yakitori) e, naturalmente, 酒 (sake o alcool in generale). Ovviamente rimane poi sempre l'opzione della scelta a caso: ma quella è spesso da consigliare solo ai temerari...o a chi ha uno stomaco forte. Perché le sorprese, anche nel cibo, a Tokyo non mancano di certo... P.S. Nell'immagine che accompagna questo post è riportato un delizioso ristorante perso da qualche parte a Shibuya. Oh, il cameriere parlava inglese per davvero. E il menu era in inglese. Per la serie: si può anche essere fortunati! 🔹 Foto © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini + Maria Novozhilova 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it Tokyonize 5. Only in Japan: un dormire diverso?
Avete mai dormito in un albergo capsulare, sui tatami dei cosiddetti ryokan o nelle fiabesche stanzette di un love hotel? Questi 3 tipi di alloggio temporaneo (a volte fin troppo temporaneo!) si possono trovare solo in Giappone. È difficile immaginare infatti di poter restare più di una notte (per forza sdraiati) in una capsula sì ergonomica, ma le cui dimensioni ben di raro comunque superano i 2 metri x 1 x 1. Insomma, una bara abbastanza spaziosa, ma con annesso iPad, televisore a cristalli liquidi e altri gadget tecnologici. Pensati soprattutto per i cosiddetti salary-men, un nome elaborato per indicare quelli che dalle nostre parti chiamiamo impiegati, che periodicamente perdono l’ultimo treno per tornare casa dopo una interminabile giornata al lavoro (e magari qualche goccetto di troppo con gli amici), i capsula hotel offrono una soluzione spartana ma a prezzi ragionevoli per chi è costretto a passare la notte nella metropoli di Tokyo. Un punto, quello dell’economicità, che non si può certo dire per gli alberghi tradizionali giapponesi noti come ryokan. Progettati con una logica esattamente opposta, questi hotel promettono un life-style raffinato, una atmosfera di lusso, viste spettacolari, e, a seconda dei gusti personali (e dei prezzi) anche una geisha al vostro servizio. Pochi fortunati possono però permettersi di passarci più di un giorno, con una tariffa che vale più o meno un iphone al giorno (modello 6, non 6S, ma comunque non poco…). D’altra parte in Giappone il tempo scorre in modo diverso. E a volte anche qualche ora basta per stare in un albergo. Specie se questi alberghi si chiamano love hotel. Indovinare a cosa servono non è difficile. Nel rispetto della più assoluta privacy, e superando un sistema di check-in completamente automatizzato, le coppiette possono scegliersi in libertà la stanza a tema dei loro desideri (dal sadomaso alla favola di Biancaneve, passando per tutto quello che c’è in mezzo), costumi interessanti e attributi vari. Decidere se "rest" o "stay" dipende sia dai loro sentimenti nonché, a volte, dai loro bambini che aspettano i genitori nei loro minuscoli appartamenti con pareti di carta (non insonorizzate, va da sé…). 🔹 Foto © Maria Novozhilova 🔹 Testo di Luigi Curini + Maria Novozhilova 🔹 Segui il viaggio su www.iltrillodeldiavolo.it |